PALAZZO TERNI-DEI ROSSI
Bello, grande, bianco, esuberante: così si presenta il Palazzo Terni-Dei Rossi a chi da via Dante, si affacci su via Mazzini all’altezza di piazza della Repubblica.
Spicca per la mole imponente e per la decorazione fastosa tra le case più sobrie della via; appare bizzarra, quasi sfacciata, con i suoi volumi articolati, le grandi vetrate, i ridondanti ornamenti Liberty, le cupolette di gusto orientale, rispetto ai pur imponenti palazzi eclettici della piazza: il palazzo della Riunione Adriatica di Sicurtà e il palazzo oggi della Cassa di Risparmio del Friuli Venezia Giulia.
Costruiti quasi contemporaneamente – e da ben più noti architetti – i due edifici che delimitano la piazza sono legati a un gusto ottocentesco nella struttura compatta e nella decorazione classicheggiante (scelta obbligata dalla destinazione dei due fabbricati a sedi di rappresentanza l’uno di una prestigiosa assicurazione, l’altro della filiale di una banca viennese).
Invece il Palazzo Terni Dei Rossi – progettato nel 1906 dal costruttore triestino Romeo Depaoli per Augusto Terni – è uno dei più felici esempi locali di quel gusto floreale che si stava affermando come segno della vincente, fiduciosa, ottimistica apertura alla modernità della borghesia più intraprendente agli inizi del Novecento.
Negli stessi anni nei quali veniva edificato, il grande architetto milanese Giuseppe Sommaruga disegnava lo spettacolare palazzo del teatro Filodrammatico (oggi cinema Ambasciatori) caratterizzato, anch’esso, da naturalistici nudi femminili affiancati alla sinuosa decorazione di gusto Art Nouveau; Max Fabiani importava in città lo stile elegante e razionale del suo maestro Otto Wagner, mentre Giorgio Zaninovich – anche lui già allievo della Wagnerschule a Vienna – arricchiva alcune case d’abitazione in via Commerciale con una fantasiosa, a volte sorprendente interpretazione della Secession.
Il tema wagneriano del pieno sul vuoto, dell’involucro edilizio eroso alla base nelle specchiature delle ampie superfici vetrate per i palazzi in cui pianoterra e mezzanino erano destinati ad attività commerciali, caratterizza alcuni tra i più begli edifici Liberty di Trieste: casa Bartoli in piazza della Borsa 7, di Max Fabiani (1905), e sempre di Romeo Depaoli, casa Polacco in corso Italia 22 (1908).
Palazzo Terni-Dei Rossi presenta però un apparato decorativo più prorompente, che unifica esteriormente i tre blocchi distinti che compongono l’edificio, ognuno con un proprio ingresso: su via San Nicolò, su via Dante e su via Mazzini.
Più si osserva l’edificio, più si è conquistati dalla bizzarra armonia creata da elementi così eterogenei: fregi vegetali, mensole decorate che reggono balconate più o meno sporgenti, medaglioni, statue, balaustre e ornamenti in ferro che spiccano sulla pietra bianca e infine un tocco di capriccioso esotismo: in alto, agli angoli, le piccole cupole sorrette da colonnine sono ispirate all’architettura dell’India.
Questo bell’involucro, valorizzato dal recente, accuratissimo restauro, nascondeva però una pecca che pare sia costata a Depaoli non poche critiche: alcuni anni dopo l’ultimazione dei lavori, l’ingresso principale sulla via Dante fu chiuso e l’atrio venne adibito a ufficio di cambio-valute perché era di scarsa utilità. Infatti all’altezza del mezzanino, l’unica rampa di scale collegata con questo atrio si congiungeva alle scale che danno sull’ingresso di via San Nicolò, molto strette e sproporzionate alle dimensioni dell’edificio.
Tuttavia non è vero – come voleva la voce popolare – che Romeo Depaoli, affranto per le critiche piovutegli addosso, si fosse tolto la vita: il povero Depaoli morì dieci anni dopo la progettazione del Palazzo, appena quarantenne di malattia; chi morì suicida fu invece il committente e proprietario, Augusto Terni, e pare fosse un suicidio romantico, dovuto a motivi sentimentali.
La distribuzione degli interni non corrispondeva alla ricercatezza dell’esterno: già in fase di costruzione furono apportate numerose modifiche alle scale, in modo da sfruttare al massimo gli spazi commerciali al pianterreno, sacrificando l’ingresso principale su via Dante (restituito alla sua originaria funzione dall’ attuale ristrutturazione ); anche il blocco su via Mazzini, costruito per ultimo, presenta una scala stretta e un ingresso modesto. Una notevole apertura alle comodità della vita moderna era tuttavia l’ascensore, previsto fin dall’inizio.
La cosa più sorprendente del palazzo, emersa nei recenti lavori di ristrutturazione, è l’originalità della tecnica costruttiva, in cui si mescolano elementi tradizionali (i muri perimetrali in pietra, quelli interni in pietra e mattoni) e un uso per l’epoca molto moderno di elementi metallici: la struttura è rinforzata da robusti pilastri in ferro; i solai sono sorretti da un’armatura in ferro nei piani inferiori (dove il carico dei pesi è maggiore), mentre dal terzo piano sono realizzati con le tradizionali travi in legno (rinforzate da piccole volte in mattoni).
In linea con le più aggiornate tendenze dell’epoca sono anche i materiali usati per all’esterno: solo al pianoterra il muro è ricoperto da in lastre di pietra bianca, mentre ai piani superiori è stata usata la finta pietra (un impasto di cemento e graniglia) per il rivestimento, per i balconi e per gli elementi ornamentali.
L’intervento di ristrutturazione e di restauro dello stabile, commissionati dalla famiglia Dei Rossi, propietaria del Palazzo dal 1948, sono stati progettati e diretti dall’architetto Marion Palla.